Premessa – E’ possibile l’istituzione di una start-up innovative se questa è stata costituita a seguito di affitto d’azienda. Questo è quanto affermato dal Ministero dello Sviluppo economico in risposta ad una specifica domanda.
Start up innovative - Con la Legge 221/2012, che ha convertito il Dl Crescita 2.0, viene introdotta per la prima volta nell’ordinamento del nostro Paese la definizione di nuova impresa innovativa, la startup innovativa: per questo tipo di impresa viene predisposto un quadro di riferimento articolato e organico a livello nazionale che interviene su materie differenti come la semplificazione amministrativa, il mercato del lavoro, le agevolazioni fiscali e il diritto fallimentare.
Parere - Con il parere (prot. n. 155183 del 3 settembre 2015) stato posto un quesito al MISE inerente il caso delle start-up innovative e l’affitto d’azienda o ramo d’azienda. In particolare, la normativa di riferimento (art. 25, comma 2, lett. g), del D.L. n. 179/2012) afferma che non è possibile la costituzione di una start-up innovative se questa è stata costituita da una fusione, scissione societaria o a seguito di cessione di azienda o di ramo di azienda. Non è mai preso in considerazione l’istituto dell’affitto del ramo di azienda e questo potrebbe voler significare, secondo l’istante, che in tale situazione la Start-up innovativa sia attuabile.
Riferimenti normativi - Il Ministero si era già pronunziato in passato (con nota diretta alla CCIAA di Rimini dell’8 ottobre 2013, n. 164029), affermando la tassatività del divieto contenuto nella declaratoria di cui alla lettera g) del comma 2, sopra riportata. Il criterio ispiratore della più recente ermeneutica, è improntato a quanto espressamente previsto dall’articolo 1, comma 2, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con modificazioni dalla L. 24 marzo 2012, n. 27, secondo cui “le disposizioni recanti divieti, restrizioni, oneri o condizioni all'accesso ed all'esercizio delle attività economiche sono in ogni caso interpretate ed applicate in senso tassativo, restrittivo e ragionevolmente proporzionato alle perseguite finalità di interesse pubblico generale, alla stregua dei principi costituzionali per i quali l'iniziativa economica privata e' libera secondo condizioni di piena concorrenza e pari opportunità tra tutti i soggetti, presenti e futuri, ed ammette solo i limiti, i programmi e i controlli necessari ad evitare possibili danni alla salute, all'ambiente, al paesaggio, al patrimonio artistico e culturale, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana e possibili contrasti con l'utilità sociale, con l'ordine pubblico, con il sistema tributario e con gli obblighi comunitari ed internazionali della Repubblica.”. In altri termini detti limiti devono essere considerati e valutati dalla pubblica amministrazione ricevente la domanda, nel caso l’ufficio del registro delle imprese, ma sempre nello spirito generale della norma (rilancio dell’economia e crescita del Paese) e nell’ambito della prescrizione generale di cui all’articolo 1, comma 2 sopra richiamato.
La risposta del MISE - Tanto premesso, il Ministero conviene con l’istante, nella specifica esclusione operata dal legislatore (nell’ambito della lettera g) della fattispecie dell’affitto dell’azienda o di un suo ramo. Da un punto di vista generale, se è vero che l’art. 2556 del Codice civile, accomuna le due fattispecie (cessione ed affitto) in unica norma, in realtà opera tale confusione solo ai fini della forma e della pubblicità dei relativi contratti. Sotto il profilo sostanziale, l’art. 2562 del Codice civile, rimanda alla disciplina dell’usufrutto d’azienda e non a quella generale della cessione d’azienda (o suo ramo) stante la natura provvisoria del trasferimento, il differente animus (possesso nel caso della cessione, godimento nel caso dell’affitto), e l’obbligo di restituzione finale, oltre agli obblighi ricorrenti. Se ne deduce una complessiva differenza tra i due istituti. Certamente sotto il profilo teleologico, la volontà insita nella disposizione del legislatore del D.L. 179, è quella di evitare che si creino delle start-up innovative frutto di spin-off di precedenti esperienze consolidate, che non avrebbero i requisiti di fondo che il legislatore lega alla figura della start-up stessa. In ogni caso la volontà espressa dal legislatore nella lettera g) del comma 2, appare chiara e tassativa, ed in virtù del criterio ermeneutico sopra richiamato porta alla conclusione della ammissibilità della fattispecie prospettata nel quesito.
Fonte: Fiscal Focus
Start up innovative - Con la Legge 221/2012, che ha convertito il Dl Crescita 2.0, viene introdotta per la prima volta nell’ordinamento del nostro Paese la definizione di nuova impresa innovativa, la startup innovativa: per questo tipo di impresa viene predisposto un quadro di riferimento articolato e organico a livello nazionale che interviene su materie differenti come la semplificazione amministrativa, il mercato del lavoro, le agevolazioni fiscali e il diritto fallimentare.
Parere - Con il parere (prot. n. 155183 del 3 settembre 2015) stato posto un quesito al MISE inerente il caso delle start-up innovative e l’affitto d’azienda o ramo d’azienda. In particolare, la normativa di riferimento (art. 25, comma 2, lett. g), del D.L. n. 179/2012) afferma che non è possibile la costituzione di una start-up innovative se questa è stata costituita da una fusione, scissione societaria o a seguito di cessione di azienda o di ramo di azienda. Non è mai preso in considerazione l’istituto dell’affitto del ramo di azienda e questo potrebbe voler significare, secondo l’istante, che in tale situazione la Start-up innovativa sia attuabile.
Riferimenti normativi - Il Ministero si era già pronunziato in passato (con nota diretta alla CCIAA di Rimini dell’8 ottobre 2013, n. 164029), affermando la tassatività del divieto contenuto nella declaratoria di cui alla lettera g) del comma 2, sopra riportata. Il criterio ispiratore della più recente ermeneutica, è improntato a quanto espressamente previsto dall’articolo 1, comma 2, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con modificazioni dalla L. 24 marzo 2012, n. 27, secondo cui “le disposizioni recanti divieti, restrizioni, oneri o condizioni all'accesso ed all'esercizio delle attività economiche sono in ogni caso interpretate ed applicate in senso tassativo, restrittivo e ragionevolmente proporzionato alle perseguite finalità di interesse pubblico generale, alla stregua dei principi costituzionali per i quali l'iniziativa economica privata e' libera secondo condizioni di piena concorrenza e pari opportunità tra tutti i soggetti, presenti e futuri, ed ammette solo i limiti, i programmi e i controlli necessari ad evitare possibili danni alla salute, all'ambiente, al paesaggio, al patrimonio artistico e culturale, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana e possibili contrasti con l'utilità sociale, con l'ordine pubblico, con il sistema tributario e con gli obblighi comunitari ed internazionali della Repubblica.”. In altri termini detti limiti devono essere considerati e valutati dalla pubblica amministrazione ricevente la domanda, nel caso l’ufficio del registro delle imprese, ma sempre nello spirito generale della norma (rilancio dell’economia e crescita del Paese) e nell’ambito della prescrizione generale di cui all’articolo 1, comma 2 sopra richiamato.
La risposta del MISE - Tanto premesso, il Ministero conviene con l’istante, nella specifica esclusione operata dal legislatore (nell’ambito della lettera g) della fattispecie dell’affitto dell’azienda o di un suo ramo. Da un punto di vista generale, se è vero che l’art. 2556 del Codice civile, accomuna le due fattispecie (cessione ed affitto) in unica norma, in realtà opera tale confusione solo ai fini della forma e della pubblicità dei relativi contratti. Sotto il profilo sostanziale, l’art. 2562 del Codice civile, rimanda alla disciplina dell’usufrutto d’azienda e non a quella generale della cessione d’azienda (o suo ramo) stante la natura provvisoria del trasferimento, il differente animus (possesso nel caso della cessione, godimento nel caso dell’affitto), e l’obbligo di restituzione finale, oltre agli obblighi ricorrenti. Se ne deduce una complessiva differenza tra i due istituti. Certamente sotto il profilo teleologico, la volontà insita nella disposizione del legislatore del D.L. 179, è quella di evitare che si creino delle start-up innovative frutto di spin-off di precedenti esperienze consolidate, che non avrebbero i requisiti di fondo che il legislatore lega alla figura della start-up stessa. In ogni caso la volontà espressa dal legislatore nella lettera g) del comma 2, appare chiara e tassativa, ed in virtù del criterio ermeneutico sopra richiamato porta alla conclusione della ammissibilità della fattispecie prospettata nel quesito.
Fonte: Fiscal Focus