È illegittimo l’accertamento con metodo sintetico se il contribuente ha aderito allo scudo fiscale. La dichiarazione riservata della banca estera è certificazione idonea a dimostrare il compimento della procedura di rientro dei capitali.
È quanto emerge dall’ordinanza n. 22369/15 della Sesta Sezione Tributaria della Suprema Corte.
La controversia approdata in Cassazione ha riguardato un avviso di accertamento a fini IRPEF - per gli anni d’imposta dal 1999 al 2003 - fondato sulla determinazione del reddito con metodo sintetico e in ragione di beni indice di maggiore capacità contributiva.
Il suddetto provvedimento è stato annullato dai giudici di prime cure con sentenza poi riformata in sede d’appello. A giudizio della CTR Lazio, infatti, mentre l’Agenzia delle entrate aveva legittimamente posto a fondamento dell’accertamento validi indicatori di capacità di spesa, in rapporto al reddito nullo dichiarato, il contribuente non aveva provato il definitivo compimento della procedura di rientro scudato dei capitali in Italia (art. 6 D.L. n. 282/2000), quindi il legittimo utilizzo della somma destinata all’acquisto dei beni.
Ebbene, la Suprema Corte non ha condiviso le conclusioni della CTR.
Nel caso di specie, il contribuente ha prodotto il documento attestante il conferimento alla banca estera del mandato alla regolarizzazione della attività economiche secondo la procedura di cui all’art. 6 del D.L. 282/00.
Secondo gli ermellini, l’unico modo per il contribuente di dimostrare il compimento dell’iter della procedura di rientro dei capitali è la dichiarazione riservata ottenuta in copia dall’istituto di credito incaricato, “sicché detta dichiarazione deve ritenersi essere certificazione del tutto idonea ai fini che il contribuente si riprometteva di raggiungere a mezzo del deposito nel presente giudizio, e cioè la dimostrazione dell’avvenuto rimpatrio della somma oggetto della procedura”. Pertanto non è corretto sostenere, come fatto dal giudice di secondo grado, che il documento qui in discorso, non prova il completamento della procedura.
La stessa Agenzia delle entrate, nella circolare n. 85 del 2001, ha evidenziato che la dichiarazione riservata “ha contenuto sintetico e ricalca sostanzialmente i dati e le notizie che il contribuente avrebbe dovuto indicare nella dichiarazione dei redditi, modulo RW, in osservanza degli obblighi previsti dal cosiddetto dal ‘monitoraggio fiscale’” e inoltre che detta dichiarazione, “debitamente sottoscritta dall’intermediario e rilasciata in copia dal contribuente, comprova il pagamento della somma o la sottoscrizione dei titoli di Stato ‘a tasso ridotto’ e costituisce l’unico documento idoneo ad invocare gli effetti del rimpatrio, previsti dal provvedimento in esame”.
Insomma, la CTR di Roma dovrà provvedere al riesame della controversia.
Fonte: Fiscal Focus
È quanto emerge dall’ordinanza n. 22369/15 della Sesta Sezione Tributaria della Suprema Corte.
La controversia approdata in Cassazione ha riguardato un avviso di accertamento a fini IRPEF - per gli anni d’imposta dal 1999 al 2003 - fondato sulla determinazione del reddito con metodo sintetico e in ragione di beni indice di maggiore capacità contributiva.
Il suddetto provvedimento è stato annullato dai giudici di prime cure con sentenza poi riformata in sede d’appello. A giudizio della CTR Lazio, infatti, mentre l’Agenzia delle entrate aveva legittimamente posto a fondamento dell’accertamento validi indicatori di capacità di spesa, in rapporto al reddito nullo dichiarato, il contribuente non aveva provato il definitivo compimento della procedura di rientro scudato dei capitali in Italia (art. 6 D.L. n. 282/2000), quindi il legittimo utilizzo della somma destinata all’acquisto dei beni.
Ebbene, la Suprema Corte non ha condiviso le conclusioni della CTR.
Nel caso di specie, il contribuente ha prodotto il documento attestante il conferimento alla banca estera del mandato alla regolarizzazione della attività economiche secondo la procedura di cui all’art. 6 del D.L. 282/00.
Secondo gli ermellini, l’unico modo per il contribuente di dimostrare il compimento dell’iter della procedura di rientro dei capitali è la dichiarazione riservata ottenuta in copia dall’istituto di credito incaricato, “sicché detta dichiarazione deve ritenersi essere certificazione del tutto idonea ai fini che il contribuente si riprometteva di raggiungere a mezzo del deposito nel presente giudizio, e cioè la dimostrazione dell’avvenuto rimpatrio della somma oggetto della procedura”. Pertanto non è corretto sostenere, come fatto dal giudice di secondo grado, che il documento qui in discorso, non prova il completamento della procedura.
La stessa Agenzia delle entrate, nella circolare n. 85 del 2001, ha evidenziato che la dichiarazione riservata “ha contenuto sintetico e ricalca sostanzialmente i dati e le notizie che il contribuente avrebbe dovuto indicare nella dichiarazione dei redditi, modulo RW, in osservanza degli obblighi previsti dal cosiddetto dal ‘monitoraggio fiscale’” e inoltre che detta dichiarazione, “debitamente sottoscritta dall’intermediario e rilasciata in copia dal contribuente, comprova il pagamento della somma o la sottoscrizione dei titoli di Stato ‘a tasso ridotto’ e costituisce l’unico documento idoneo ad invocare gli effetti del rimpatrio, previsti dal provvedimento in esame”.
Insomma, la CTR di Roma dovrà provvedere al riesame della controversia.
Fonte: Fiscal Focus